La Silicon Valley è per molti l’epicentro mondiale dell’innovazione tecnologica, un ecosistema complesso, che da anni guida il mondo IT verso nuovi traguardi, attirando le aziende più all’avanguardia e i migliori talenti.
Per le aziende italiane ed europee che desiderano affacciarsi in questo mercato, Radicalbit, deep tech company 100% italiana, propone 5 pillars che possono essere di grande aiuto.
Ne abbiamo parlato con Michele Ridi, Chief Revenue Officer di Radicalbit, che ha raccontato l’esperienza ad Innovit e dato qualche consiglio alle aziende che vogliano accostarsi a questo mercato.
Radicalbit è nata qualche anno fa con l’idea di mettere insieme il processamento dei dati in tempo reale con l’intelligenza artificiale. “Era un momento – racconta Ridi – in cui cominciavano a essere presenti tecnologie che consentivano l’approccio real time al processamento del dato e l’intelligenza artificiale applicata a questo tipo di approccio era un match perfetto. Nell’ultimo periodo però ci siamo focalizzati sul tema del controllo, il tema dell’AI Observability e cioè la capacità di capire cosa accade alle nostre applicazioni basate sull’IA una volta che sono messe nel mondo reale”.
Grazie alla partecipazione al programma “Call 4Innovit”, l’iniziativa promossa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, per generare incontri e occasioni formative ed entrare nel mindset della Silicon Valley, Radicalbit ha avuto l’opportunità di arricchire la propria esperienza ed entrare in contatto con società, imprenditori e italiani che oggi vivono in California.
“È stata un’esperienza assolutamente positiva. Un programma organizzato molto bene, molto interessante per startup e PMI. Non promette di fare matchmaking, di trovarti dei clienti o degli investitori, però, quello che offre è di fatto un’immersione vera, reale nella Silicon Valley e l’accesso ad una quantità veramente impressionante di tutor e personalità disponibilissime al dialogo, ai consigli e all’ascolto che restituisce un enorme valore se si lavora in un campo come quello dell’AI”.
Radicalbit, è ripartita da questa nuova consapevolezza per elaborare 5 pillars, indispensabili per le aziende che vogliano accostarsi alla Silicon Valley:
L’Europa, contrariamente alle aspettative, è un forte competitor nel campo dell’innovazione. Le grandi aziende europee spesso superano le controparti statunitensi in adattabilità e ricettività ai cambiamenti.
“Purtroppo, c’è una grande distanza, che non è solo geografica, fra la Silicon Valley e l’Europa in termini di sviluppo software – spiega Ridi – e la distanza aumenta quando si parla di Italia. Il sistema americano vede lavorare insieme istituzioni, università, start up e venture capitalist. C’è un circolo virtuoso che funziona molto bene. In Europa è molto più complesso. C’è molta più segmentazione e quindi si fa un pochino più fatica. Approcciarsi alla Silicon Valley è però possibile”.
L’Europa, d’altro canto, è molto più competitiva di quanto si pensi: “C’è un primo dato importante ed è il fatto che noi italiani siamo davvero bravi e i tecnici italiani sono apprezzati e occupano posizioni molto importanti nelle grandi Big Tech. È il sintomo che il nostro modello sia attitudinale che di formazione in realtà funziona. Quello che funziona meno è la parte di connessione fra la formazione e lo sviluppo del business”.
“Molte aziende americane – chiarisce Ridi – lavorano con team in tutto il mondo, anche banalmente per una questione economica. Un tecnico italiano costa circa un quarto di un tecnico che vive a San Francisco, quindi, a parità di skill, a parità di capacità. Se si lavora in un campo molto innovativo, allora quello è il posto dove testare le proprie tecnologie e il concetto di innovazione”.
“La Silicon Valley è piena di start up innovative, che ricevono investimenti da venture americani, ma molto spesso i propri prodotti li vendono agli europei, perché la propensione al rischio della start up americana è straordinaria, ma la propensione al rischio della Corporate americana è molto più bassa. In Europa c’è più mercato che in America per certi tipi di tecnologie perché la Banca europea ha molto più coraggio di investire in tecnologie innovative rispetto alla banca americana che è ancorata ad altri paradigmi. Quindi noi europei ci troviamo ad essere i primi clienti. Questi signori con quelle case history positive poi tornano in America e li vendono anche agli americani”.
Uno dei pillars proposti da Radicalbit è in networking informale: “Il loro modo di fare business è abbastanza diverso dal nostro. C’è un concetto di networking straordinariamente sviluppato e molto più naturale, rispetto a quello che possiamo avere in testa noi. Lì ci si trova a eventi, piccoli eventi, micro-eventi e ai bar quasi tutti i giorni. Se parlo di qualcuno mi racconta di una tecnologia che magari interessa a qualcuno con cui ho parlato tre giorni fa, mi faccio in quattro per mettere questi signori in contatto fra di loro, senza aspettarmi nulla in cambio. Questo per noi è abbastanza sorprendente, ma è così. A San Francisco ci sono una ventina, trentina di eventi al mese, quindi uno al giorno, magari piccolini, da 15-20 persone, tutte sul mondo delle AI. Volendo tutti i giorni qualcuno si può muovere e andare ad una serata, magari a tema videogame, dove può incontrare venture capitalist e colleghi di altre start up. Ed è così che si alimenta quel circolo virtuoso di cui parlavo prima”.
Un altro pillars importante è il focus sulle persone, sugli stakeholder interni: “Noi europei e in particolare italiani, pensiamo di vendere un prodotto a un’azienda che ha un budget che compra il nostro prodotto perché gli serve, perché può dargli valore. Quello che invece accade negli Stati Uniti è che il prodotto deve soddisfare anche un altro parametro, che è quello di aiutare degli stakeholder molto importanti a livello di influenza a fare carriera. Ci hanno, per esempio, detto: “Voi avete una versione open source delle vostra piattaforma, quindi aperta, pubblica e gratuita?” No! “E allora è molto più difficile perché se io ho una versione aperta sono in grado di farla adottare dallo sviluppatore X dell’azienda Y, il quale ci lavora sopra, poi va dal suo capo e gli fa vedere quanto è stato bravo e se invece la piattaforma è solo a pagamento, non succederà e quindi non avrai quell’alleato che poi ti porterà a far vendere i servizi enterprise collegati alla piattaforma. Abbiamo imparato che bisogna diffondere la propria tecnologia, renderla il più possibile pubblica e quando questo avviene si ha già vinto anche se è gratis”.
Se “la parte di sviluppo può assolutamente essere remotizzata in Italia” grazie alla presenza di personale altamente qualificato, “per la parte di vendita è necessaria una presenza locale”.
Per espandere il proprio business negli Stati Uniti, è fondamentale avere un team o una rappresentanza di vendita locale, nonché aprire una filiale tramite procedura di incorporation.
Se parliamo di SaaS, non è invece importante presidiare il territorio con un team operativo: al contrario, mantenere lo sviluppo in Europa /Italia potrebbe consentire di contenere i costi.
Il tanto temuto fallimento imprenditoriale deve essere considerato, al contrario, un’opportunità di apprendimento. Riconoscerlo e affrontarlo tempestivamente permette di minimizzare le perdite e ripartire rapidamente.
“Mi è capitato di parlare più volte con più persone che mi hanno detto frasi del tipo “Ma adesso hanno tre start up, Vediamo quella che sopravvive”. Perché lì il fallimento non è una macchia. Oppure sentir dire a dei venture capitalist io preferisco uno startupper che ha già 2 o 3 fallimenti alle spalle rispetto a qualcuno che viene che è alla sua prima esperienza, perché sono sicuro che ha fatto già un’esperienza importante e quindi non farà gli errori che facciamo tutti”.
In Italia invece il fallimento è visto come una macchia e questo fa sì che noi per primi “non siamo disposti a fallire, quindi, facciamo dell’accanimento terapeutico su aziende che non hanno futuro perché l’alternativa è una tragedia: il fallimento. In realtà il fallimento fa parte del percorso di crescita fa parte dell’esperienza dello start up e del founder, quindi, bisognerebbe averne molta meno paura”.
“Innovit è davvero un ponte favoloso. Quattro-cinque volte l’anno loro fanno questa chiamata, ovviamente a seconda del tema, ed è davvero un ottimo trampolino di lancio. Io consiglierei di entrare in contatto con Innovit e capire quali sono le possibilità. Quando abbiamo parlato con l’Italian Trade Agency che ha una sede a Los Angeles ci è stato detto che sono sempre alla ricerca di startup che hanno un ruolo o aziende che hanno voglia di entrare in quel porto. È chiaro che avere a disposizione gratuitamente il consiglio di tanti professionisti come quelli che ruotano attorno al mondo di Innovit ha un valore enorme. Nel caso di start up o medie aziende, io consiglierei di provare a trovare un veicolo come Innovit, sperando che oltre a questo possano aggiungersene altri. Noi, per esempio, abbiamo incontrato un esperto il cui mestiere era fare da ponte fra le aziende tedesche e la Silicon Valley. Io mi auguro – conclude Ridi – che in Italia nascano aziende con quel tipo di obiettivo di connettere l’eccellenza e le competenze italiane con mercati che sono sicuramente più appetibili del nostro”.
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