Il 2024 porta buone notizie per il mercato delle start up hi-tech italiane, che dopo l’anno precedente, di recupero per gli investimenti. Si tratta infatti di circa di 1,5 miliardi di euro, evidenziando un aumento del 32% rispetto al 2023, un segnale molto positivo per un settore che guarda al futuro con speranza, pur rimanendo lontano del record del 2022, quando erano stati raccolti ben 2,160 miliardi di euro.
Secondo il rapporto dell’Osservatorio Startup Hi-Tech del Politecnico di Milano in collaborazione con InnovUp, la ripresa italiana si distingue in un contesto europeo più complesso, dove il venture capital ha segnato un calo del 9,7% nei primi nove mesi del 2024. Tuttavia, nonostante i numeri in controtendenza, il mercato italiano mostra ancora evidenti limiti strutturali, rimanendo nettamente più piccolo rispetto agli altri paesi europei come Francia e Germania, dove si registrano investimenti di 7 miliardi e piani ventennali da 20 miliardi.
Una delle dinamiche più interessanti emerse, è la crescita degli investimenti formali (+42%), ossia quelli veicolati dai fondi di venture capital. Questo consolidamento rappresenta una base solida per il futuro, ma è evidente la mancanza di un contributo da parte delle grandi imprese. In Italia, le corporate rappresentano solo il 10% del mercato degli investimenti in start up, un dato molto lontano dai livelli di paesi come gli Stati Uniti (50%) o il resto d’Europa (30-40%).
Un altro segnale positivo arriva anche dall’estero dove gli investimenti internazionali nelle startup italiane sono cresciuti del 30%, dimostrando una rinnovata fiducia da parte di attori globali. Nonostante ciò, il mercato rimane carente in termini di round late-stage e exit, specialmente nelle IPO, una problematica che accomuna l’Italia al resto d’Europa.
“Le grandi aziende iniziano a investire in syndication, ma servono sforzi coordinati per creare un ecosistema capace di coinvolgere distretti industriali e PMI. Dobbiamo abbandonare il dualismo tra start up e imprese consolidate, lavorando su una visione collaborativa”, sottolinea Ghezzi. Questo divario si traduce in una scarsità di eccellenze italiane e in una difficoltà strutturale e coordinata per competere su scala globale.
Tra i nuovi modelli di sviluppo emergenti, il start up studio potrebbe rappresentare un’opportunità per il panorama italiano, ma richiede chiarezza e regole precise. «Questo approccio, che si ispira agli incubatori americani, potrebbe diventare un’evoluzione utile, a patto di evitare conflitti e investire in modo continuativo», evidenzia il rapporto.
Dalla Silicon Valley, l’Italia potrebbe apprendere soprattutto il valore del metodo sperimentale e della validazione tecnologica, integrata nei distretti industriali. Ghezzi invita alla prudenza: «Non possiamo inseguire scale non realistiche rispetto alla nostra attuale struttura, ma dobbiamo puntare su modelli sostenibili, radicati nei territori e interconnessi tra loro».
L’anno in chiusura ha rappresentato un punto di svolta per le start up italiane, che hanno dimostrato di poter crescere nonostante le difficoltà. Il bicchiere è mezzo pieno, ma per colmarlo del tutto serve un’azione coordinata che metta al centro l’innovazione, l’interconnessione dei distretti e la capacità di fare sistema, elementi determinanti per portare l’Italia tra i protagonisti del mercato europeo.
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