Senza i migliori talenti giovani non può esserci innovazione. Così, il governo lancia una rete fiscale di agevolazioni per capovolgere il trend della fuga dei cervelli, rendendo vantaggioso il ritorno in patria. E’ questo uno degli obiettivi del decreto legislativo sulla fiscalità internazionale, di attuazione della delega fiscale, approvato in via definitiva dal consiglio dei ministri il 19 dicembre. I “cervelli” non scappano da soli, ma per il semplice motivo che l’Italia non ha offerto finora ai suoi talenti la possibilità di esprimere le proprie potenzialità.
Adesso, con la riforma del diritto tributario internazionale si creano i presupposti per migliorare e rendere “appetibile” il regime dei lavoratori rimpatriati, dipendenti o autonomi: dal periodo d’imposta 2024 potranno, infatti, godere di un nuovo regime agevolato per un periodo massimo di cinque anni. Lo prevede l’articolo 5 del decreto di recepimento, che sostituisce il regime fiscale attualmente in vigore.
La nuova disciplina stabilisce un abbattimento dell’imponibile fiscale del 50% per i contribuenti che trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del Tuir e che percepiscono redditi di lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e redditi di lavoro autonomo.
E’ vero che rispetto alla normativa precedente, i requisiti di accesso sono più stringenti: oltre a una soglia reddituale di 600mila euro, entro la quale opera il regime di favore, i lavoratori non possono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento – soglia temporale che aumenta nel caso in cui l’attività sia prestata in Italia per il medesimo soggetto per cui era prestata all’estero o comunque per un soggetto dello stesso gruppo – e si impegnano a risiedere fiscalmente nel territorio dello Stato per almeno cinque anni.
La riforma introduce, poi, un ulteriore incentivo fiscale, volto a promuovere lo svolgimento nel territorio dello Stato italiano di attività economiche. In conformità alla disciplina di cui all’articolo 6 del decreto di recepimento, potranno beneficiare dell’agevolazione, per il periodo d’imposta in cui avviene il trasferimento e nei cinque successivi, le imprese che, prima di trasferire l’attività in Italia, operavano in un Paese estero non appartenente all’Unione europea o allo Spazio economico europeo.
La linea del governo è chiaramente volta a rendere più attraente per i “cervelli in fuga” il ritorno in patria. Negli anni il fenomeno è stato ampiamente sottostimato. I numeri reali di chi parte sono il triplo di quelli stimati. Lo ha dimostrato uno studio recente della Fondazione Nord est, compiuto insieme all’associazione Talented Italians in the UK. Quel computo si basa sull’osservazione di fenomeni statistici: l’ondata migratoria dei “cervelli in fuga” , secondo i ricercatorim, registra dimensioni che la rendono paragonabile a quelle del passato, inserendosi a pieno titolo nella storia demografica di un paese da sempre abituato a convivere con l’emigrazione. Mentre l’attenzione collettiva si concentra sul calo della natalità e sull’afflusso di migranti, è stato trascurato un fenomeno solo apparentemente inferiore, che influisce in modo determinante sul potenziale di crescita italiano. Per un giovane che emigra dall’Italia verso l’estero registrato dalle statistiche, ne corrispondono in realtà tre effettivi. Il rapporto è indicativo del grado di sottovalutazione del fenomeno, la cui portata veritiera si comprende triplicando le cifre rese disponibili dalle banche dati.
Stando a quanto riportato dall’Istat, nel periodo compreso tra il 2011 e il 2021 sarebbero stati soltanto 377mila gli italiani tra i 20 e i 34 anni a emigrare verso i principali paesi europei economicamente avanzati. Cifra che, moltiplicata per tre, sale a quasi 1,3 milioni. La causa della sottostima risiede nel divario che si crea tra il numero dei giovani emigrati che si iscrivono all’Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire), e che poi risultano conteggiati nei dati Istat, e quelli risultanti invece dagli uffici statistici dei paesi europei di arrivo, più vicini a quelli effettivi. La diversità del conteggio è dovuta al differente interesse che gli espatriati hanno nel segnalare la propria presenza ai due rispettivi istituti: se l’iscrizione all’Aire comporta la perdita di alcuni benefici, come l’assistenza sanitaria italiana, dichiarare il proprio trasferimento all’amministrazione locale è invece imprescindibile per ottenerne altri, dal contratto di affitto o lavoro alla fornitura di elettricità e gas.
La manovra fiscale del governo punta ad invertire la rotta. L’agevolazione, tuttavia, sconta alcuni limiti di applicabilità: in primo luogo, è previsto un meccanismo di recupero del beneficio fiscale, qualora l’attività economica trasferita, per la quale si è goduto dell’agevolazione, venga successivamente dislocata in uno Stato estero nei cinque periodi di imposta – dieci in caso di grandi imprese individuate ai sensi della raccomandazione 2003/361/Ce della Commissione, del 6 maggio 2003 – dal termine del regime di agevolazione.