AI in azienda non decolla, studio smonta i falsi miti e traccia la strada per il successo
News - 28/08/2025
di Redazione
A fronte di un investimento da 40 miliardi di dollari, solo il 5% delle aziende genera valore dall’AI. Il nuovo report The GenAI Divide: State of AI in Business 2025, realizzato dal MIT (Project NANDA), fotografa il “GenAI Divide”: alta adozione, scarsa trasformazione. Non è la tecnologia a mancare, ma le scelte strategiche, la cultura organizzativa e la capacità di apprendere.
L’illusione dell’adozione: perché l’AI non porta valore
Secondo lo studio, il 95% delle aziende non registra ritorni misurabili dagli investimenti in intelligenza artificiale. Eppure l’adozione è altissima: oltre l’80% delle organizzazioni ha sperimentato strumenti come ChatGPT o Copilot, quasi il 40% li ha già messi in produzione. Il problema non è la tecnologia, ma il divario tra sperimentazione e trasformazione. È ciò che i ricercatori definiscono GenAI Divide.
Il MIT ha analizzato più di 300 iniziative pubbliche di AI, condotto 52 interviste strutturate a executive e functional leaders e raccolto 153 survey in quattro conferenze di settore. Il successo è stato misurato come implementazione oltre la fase pilota con KPI monitorati a sei mesi.
Gli autori ammettono i limiti del caso: campione non rappresentativo di tutti i settori, dati spesso auto-dichiarati e finestra di osservazione ridotta. Inoltre, Project NANDA sviluppa a sua volta protocolli di AI agentica (NANDA, MCP, A2A) e questo è un potenziale conflitto di interessi, che invita a una lettura critica.
Adozione alta, trasformazione bassa
Dai dati emerge subito una contraddizione. Sebbene gli strumenti consumer come ChatGPT migliorino la produttività individuale, ma incidono poco sul conto economico. Al contrario, i sistemi enterprise personalizzati hanno un tasso di successo del 5%: il più delle volte rimangono fragili, mal integrati e incapaci di adattarsi ai processi aziendali.
Solo tecnologia e media mostrano segni di reale disruption. In sanità, finanza, retail o energia l’impatto resta minimo.
Il learning gap e il competence gap
Il vero ostacolo è il learning gap: sistemi incapaci di trattenere memoria, integrare feedback o adattarsi. A questo si somma un competence gap: mancano competenze per addestrare i modelli, valutare output e ridisegnare i workflow.
Il paradosso è che i professionisti usano con entusiasmo ChatGPT a livello personale, ma giudicano gli strumenti aziendali “fragili e sovraingegnerizzati”. Per compiti semplici vince l’AI, per quelli complessi la fiducia torna all’essere umano.
Al di là, dunque, delle criticità che possono essere legate a modelli o infrastrutture, c’è un limite tecnico, relativo all’incapacità delle soluzioni di essere resilienti, che incontra il limite delle capacità. Sebbene i professionisti siano abituati a utilizzare soluzioni come ChatGPT o Claude nella propria vita privata, non hanno ancora fatto il passaggio a un utilizzo in ambito aziendale, a meno che non si tratti di compiti semplici o immediati.
AI in azienda, qual è l’impatto?
A queste considerazioni va aggiunto che, dietro i progetti ufficiali, si sviluppa un’economia parallela, definita dal report “shadow AI economy“. Solo il 40% delle aziende ha un abbonamento ufficiale a un LLM, ma il 90% dei lavoratori dichiara di usare strumenti personali come ChatGPT o Claude per il lavoro. Qui emergono i ritorni di produttività più evidenti, anche se restano aperti problemi di sicurezza e governance.
Ed emerge che sono queste iniziative informali a fare una differenza, con un’innovazione che procede a due velocità: da un lato, gli individui rimangono al passo, ma le imprese non sempre sanno dare vita a processi strutturati.
Uno dei fronti più delicati legati all’uso dell’AI in contesti aziendali, è sicuramente quello occupazionale. Non si osservano licenziamenti di massa, ma riduzioni selettive (5–20%) in funzioni standardizzate come customer support e amministrazione, già comunque soggette ad outsourcing. Il vero impatto riguarda, invece, le assunzioni: in tecnologia e media oltre l’80% dei dirigenti prevede minori volumi nei prossimi due anni. Va anche sottolineato che l’AI literacy è una competenza sempre più importante e richiesta ai nuovi assunti.
Lo studio cita anche un’analisi del MIT Project Iceberg, dalla quale emerge che, oggi, l’automazione reale copre il 2,27% del valore del lavoro USA, ma il potenziale latente riguarda 2,3 trilioni di dollari e 39 milioni di posizioni. Questi dati vengono chiamati in causa per fare una distinzione tra potenziale di automazione effettiva attuale e potenziale di automazione latente nel medio periodo. La Gen AI, con gli strumenti attuali, può automatizzare solo il 2,27% del valore del lavoro statunitense (si tratta di un impatto molto limitato).
Agentic Web, la sfida del futuro
La sfida futura è la transizione all’Agentic Web: agenti autonomi in grado di ricordare, adattarsi e coordinarsi via protocolli come MCP, A2A e NANDA. Potrebbero negoziare contratti, integrare API e ottimizzare workflow multi-impresa, con un impatto paragonabile all’avvento del Web. Tuttavia, il fatto che Project NANDA sia anche promotore di queste tecnologie richiede di distinguere tra dati empirici e advocacy.
Come superare il GenAI Divide?
Lo studio individua anche una serie di strategie per superare il GenAI Divide, sulla base delle esperienze di azienda che l’hanno attraversato. Tra questi, ad esempio, ci sono le collaborazioni con partner esterni, senza voler costruire tutto in-house, l’integrazione dell’Intelligenza Artificiale in flussi esistenti e l’utilizzo di processi semplici e scalabili, ad alto valore. Non bisogna, inoltre, dimenticare che i progetti più efficaci nascono dal basso, da chi già utilizza e sperimenta con gli strumenti di AI.
La conclusione è che le aziende non possono e non devono perdere tempo: hanno, infatti, una finestra temporale di circa un anno e mezzo per dotarsi di sistemi “learning-capable”. Non possono più investire in strumenti statici o incapaci di integrarsi, perché il rischio è non essere all’altezza dei concorrenti
Le conclusioni
Le organizzazioni che superano con successo il GenAI Divide stanno già sperimentando sistemi agentici in grado di apprendere, ricordare e agire in modo autonomo entro parametri definiti.
Questa transizione segna non solo un cambiamento negli strumenti, ma l’emergere di un Agentic Web: un livello persistente e interconnesso di sistemi di apprendimento che collaborano tra fornitori, domini e interfacce. Laddove l’attuale stack aziendale è definito da strumenti SaaS isolati e flussi di lavoro statici, l’Agentic Web li sostituisce con agenti dinamici in grado di negoziare attività, condividere il contesto e coordinare le azioni in tutta l’azienda.
Proprio come il Web originale decentralizzava la pubblicazione e il commercio, l’Agentic Web decentralizza l’azione, passando dai prompt al coordinamento autonomo basato su protocolli. La finestra per colmare il GenAI Divide si sta rapidamente restringendo. La prossima ondata di adozione non sarà vinta dai modelli più appariscenti, ma dai sistemi che apprendono e ricordano e/o da sistemi personalizzati per un processo specifico.
Per le organizzazioni attualmente intrappolate dalla parte sbagliata, la strada da seguire è chiara: smettere di investire in strumenti statici che richiedono un supporto costante, iniziare a collaborare con fornitori che offrono sistemi personalizzati e concentrarsi sull’integrazione del flusso di lavoro piuttosto che su demo appariscenti. Il divario GenAI non è permanente, ma superarlo richiede scelte fondamentalmente diverse in termini di tecnologia, partnership e progettazione organizzativa.
Approfondisci qui: The GenAI Divide: State of AI in Business 2025.