Startup come atto di fede, Schillaci: “Solo così si può trasformare il desiderabile in fattibile”

Innovare è un atto d’amore. Questo è già un cambiamento proprio nel messaggio di comunicazione, ma è corretto perché tutte le attività nuove, tutti i progetti, partono da un atto d’amore, un atto di fiducia di chi li, di chi li genera e di chi poi li deve raccontare all’esterno”. Per Elita Schillaci, Consigliera Delegata all’Open innovation dell’Università degli Studi di Catania, è da qui che bisogna ripartire: dalla fiducia nelle persone, prima ancora che nei numeri.

Nell’intervista che abbiamo realizzato in occasione del Premio Dusmet 2025, la docente catanese sposta il baricentro del discorso sull’impresa: non più solo piani industriali e indicatori, ma la consapevolezza che ogni iniziativa nasce da una scelta profondamente umana. Al centro, spiega, non c’è mai solo l’idea di business, ma la relazione fra chi immagina un futuro diverso e chi è chiamato a condividerlo.

La riflessione di Elita Schillaci si muove lungo un fil rouge che unisce un ecosistema dell’innovazione in grado di fare rete e collaborare in Sicilia. La docente, infatti, è protagonista anche della terza edizione del Premio Innovazione Sicilia, come membro del Comitato di Valutazione. L’appuntamento è per il 21 novembre 2025, all’Ecomuseo Mare Memoria Viva di Palermo e, per registrarsi e partecipare, basta compilare il form sottostante.

Essere umano vera infrastruttura dell’innovazione

L’infrastruttura decisiva non è solo quella tecnologica: “Al centro – sottolinea Schillaci – c’è sempre l’essere umano che con la sua capacità, con la sua energia, con la sua visione, con la sua fiducia anche nei propri talenti e nei talenti degli altri, porta avanti una progettualità“.

In queste parole c’è l’idea di un’innovazione aperta che non si limita ad acquisire tecnologie, ma valorizza competenze, storie, reti di fiducia. Un approccio che dialoga con la visione internazionale dell’open innovation, secondo cui le organizzazioni crescono quando sanno aprirsi a idee e conoscenze esterne, non solo interne.

La startup come atto di fede

Il passaggio più netto dell’intervista riguarda la natura profonda dell’imprenditorialità: “La creazione di una startup è un atto di fede, tra le altre cose”. Ma perché fede? “Fede deriva da fidere, credere, è qualcosa in cui, appunto, tu devi credere. Devi credere in quello che fai, nelle persone accanto a te e nella capacità di trasformare il desiderabile in fattibile”.

In questo modo, Scillaci introduce una dimensione spesso sottovalutata: il rischio imprenditoriale non è solo una formula nei manuali di business planning, ma un impegno personale. Si tratta di scegliere di credere in qualcosa che ancora non esiste, e di assumersi la responsabilità di trasformarlo in realtà. Un tema coerente con quello che anima il Premio Innovazione Sicilia 2025: “Challenge S3 – La sfida di fare sistema“.

Trasformare il desiderabile in fattibile

E l’atto di fede non si esaurisce nell’idea iniziale. Questa trasformazione – dal sogno alla fattibilità – è il cuore del lavoro imprenditoriale. Significa costruire team, alleanze, partenariati. Così, “I business plan, i numeri, l’equilibrio economico-finanziario derivano dalla tua capacità di mettere insieme tutto questo. Quindi alle radici di un progetto di startup c’è questo elemento così intangibile ma così forte che quello della fede” prosegue Schillaci.

La dimensione economico-finanziaria, in questa lettura, è l’esito di un percorso che combina visione, persone e responsabilità. L’equilibrio non si misura solo in bilancio, ma nella capacità di generare impatto positivo e di reggere nel tempo.

Professoressa ordinaria di Imprenditorialità e Business Planning, già fondatrice e protagonista di numerosi progetti sullo sviluppo di nuovi ecosistemi imprenditoriali innovativi, Schillaci porta dentro l’istituzione accademica una visione in cui innovazione, impresa e sostenibilità procedono insieme.

Innovare senza perdere l’anima

L’innovazione non è solo attrazione di capitali o tecnologie, ma capacità di costruire comunità che si riconoscono nei propri progetti. L’atto d’amore in cui si parla all’inizio dell’intervista non è un’immagine retorica: è una scelta di metodo. Innovare significa fidarsi delle persone, scommettere sulla loro capacità di trasformare il desiderabile in fattibile e tenere insieme – senza scorciatoie – visione, numeri e impatto sociale.

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