AI e sviluppo software, Sciuti: “Essere pionieri è un bene, servono consapevolezza ed entusiasmo”

Il futuro dello sviluppo software non si gioca soltanto sulla padronanza di un linguaggio, ma su una serie di competenze e sulla capacità di dialogare con l’intelligenza artificiale con metodo: è così che Francesco Sciuti, CEO e founder di Devmy, delinea la traiettoria da seguire.

Lo abbiamo intervistato in occasione di Generazioni Digitali, evento che abbiamo seguito come media partner, promosso da Develhope e organizzato in collaborazione con SkillforEquity, Flazio ed Epyc.

Sciuti, che ha portato la sua esperienza nel workshop “Coding con l’AI: Prompting e Context Engineering“, ci offre una riflessione concreta sul modo in cui si evolve il mestiere dello sviluppatore e sul ruolo delle aziende nell’accompagnare il cambiamento. Ci ricorda come le transizioni tecnologiche non vadano mai sottovalutate, invitandoci a non perdere l’occasione offerta dall’AI.

Come l’AI cambia il mestiere dello sviluppatore

“Fino a qualche tempo – spiega Sciuti – fa per uno sviluppatore era importante conoscere la sintassi e il proprio linguaggio. Oggi, probabilmente, dobbiamo imparare più a scrivere e diventare dei problem solver“.

“Si tenderà a essere meno precisini del codice – aggiunge – ma più svegli nel trovare le soluzioni e nel dare il giusto suggerimento all’AI”. In quest’ottica, prompt engineering e context engineering diventano competenze chiave per dare istruzioni chiare e fornire il contesto utile ai modelli.

Lezioni dal passato: non perdere il treno

Per rendere in modo ancora più chiaro i concetti di cui ci parla, Francesco Sciuti richiama una transizione tecnologica che in passato alcuni hanno sottovalutato: “Quando ci fu la transizione da 2D a 3D in moltissimi non si accorsero – in Disney ad esempio successe – che il 3D fosse il futuro e molte di quelle persone sono inevitabilmente rimaste fuori, nonostante fossero guru nel loro ambito”.

“Oggi – sottolinea – è inevitabile affrontare il mondo delle nuove tecnologie con consapevolezza e con grandissimo entusiasmo, perché c’è tantissimo da imparare, da fare e da sperimentare, quindi si può essere pionieri: è un bene, non è un male“. Il suo è un invito ad abbracciare nuove tecnologie con consapevolezza ed entusiasmo.

AI come “collega”, non sostituto

Quando si parla di AI, gli approcci sono molteplici, ma l’approccio più produttivo è uno: ricordare che l’AI non ci sostituisce, ma è più una “collega”. Può darci una mano a lavorare meglio, non a fare del tutto il lavoro al posto nostro.

Dare istruzioni efficaci significa scrivere prompt chiari e fornire contesto. È qui che entra in gioco il context engineering, la capacità di strutturare informazioni e riferimenti per orientare il modello nella direzione corretta, migliorando l’accuratezza e la qualità delle risposte generate.

Il ruolo delle aziende: creare le condizioni per il salto

A fare la differenza, secondo Sciuti, non sono solo le singole professionalità, ma anche le aziende: “Secondo me è importante che, prima dei programmatori, siano le aziende che assumono programmatori a capire la vera importanza e stabilire un percorso adatto: riuscire a introdurre e far migrare verso il nuovo mondo è fondamentale.

E se fai parte di un’azienda è inevitabile che sia l’azienda a metterti in condizione, come individuo e come parte di un team, di raggiungere questi nuovi obiettivi”. Tradotto nella pratica? formazione, policy per l’uso responsabile dell’AI e ridisegno dei processi.

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