Innovazione fa rima con velocità e capitali, la ricetta di Marco Pavone per sostenere ricerca e start up

Barack Obama l’ha premiato come uno dei cento scienziati più promettenti d’America, ci ricorda Michele Masneri nel suo saggio “Steve Jobs non abita più qui”, edito da Adelphi. Eppure Marco Pavone, professore del dipartimento di aeronautica e astronautica in quello scrigno sapienzale che è l’Università di Stanford, è un cervello piemontese, distillato con anni di studio alle falde dell’Etna.

“Start up, serve una modalità duale”

A Pavone abbiamo chiesto di raccontarci cosa significhi fare innovazione negli States. Pavone, oltre a insegnare, dirige il settore di ricerca sui sistemi autonomi di Nvidia, una delle aziende principali nel campo dell’intelligenza artificiale. Così, è già abbastanza chiaro come la ricerca e la managerialità siano due aspetti integrati negli States: un approccio che Pavone definisce “duale”.

“Stanford è un osservatorio privilegiato per la ricerca e l’innovazione”

“Anche se sono professore a Stanford, nel contempo dirigo la ricerca sui sistemi autonomi in un’azienda che si chiama Nvidia che è una delle aziende principali nel campo dell’intelligenza artificiale, quindi la mia è una prospettiva sia accademica che aziendale. Chiaramente Stanford  è un posto particolarmente vantaggioso perché lo rende uno snodo principale e quindi posso avere accesso a tutti gli ultimi trend in campo tecnologico. Uno di questi è rappresentato dalla intelligenza artificiale da una parte; Life Sciences dall’altra: in questo contesto che qui stanno nascendo nuove start up un po’ come funghi. La cosa interessante  da osservare in quest’area è anche la velocità con cui si rigenerano idee. Oggi è tutto molto più veloce di prima”.

I ritardi della burocrazia 

Molti ricercatori italiani si lamentano del fatto che la burocrazia rallenti i percorsi dell’innovazione. La lentezza della macchina burocratica spesso diventa un intralcio a chi fa ricerca. Così potenziali novità vengono tenute troppo tempo nel cassetto per noi non essere più novità. Forse è questa la principale differenza tra l’approccio a stelle e strisce e quello italiano?

“Il progresso tecnologico è aumentato notevolmente negli ultimi anni in termini di rapidità. Ad esempio il tempo che intercorre tra la pubblicazione di una idea su una rivista scientifica e la sua utilizzazione è diminuita in una maniera quasi incredibile. Ormai tra quando esce un articolo scientifico e quando da questo si fa un prodotto, possono passare pochi mesi a differenza di qualche anno come era qualche anno fa. E quindi questo ha reso ancora più importante il concetto di velocità. Passare dall’ideazione alla prototipizzazione e poi alla cosiddetta production è un elemento essenziale, chiaramente da coniugare con l’accesso al capitale. Non conosco bene il sistema italiano ma chiaramente nella Silicon Valley la velocità e l’accesso al capitale sono due componenti essenziali”, è la riflessione del ricercatore di Stanford.

Pavone, poi, traccia un paragone con la sua esperienza in Sicilia, i suoi sette anni di studio al liceo prima, e poi all’Università di Catania. Da lì, poi, è partita la sua “scalata” verso l’empireo della ricerca scientifica negli States: “Ho studiato a Catania, all’Università e contemporaneamente alla Scuola Superiore. Mi sono laureato in ingegneria informatica con una specializzazione in robotica e dopo l’Università in Sicilia mi sono trasferito negli Stati Uniti a Boston, dove ho fatto un dottorato di ricerca al Massachusetts Institute of Technology, sempre nel campo della robotica. Dopo il dottorato di ricerca mi sono trasferita a Pasadena, che è una cittadina vicina a Los Angeles, dove c’è un centro della NASA che si chiama NASA Lab, che si occupa della esplorazione robotica del sistema solare. E’ il centro dove si disegnano e si producono quelli che vengono chiamati robot marziani. Quindi ho lavorato per un paio di anni alla NASA e poi successivamente mi sono trasferito a Stanford dove sono diventato professore di ingegneria aerospaziale con specializzazione robotica e lì dirigo un laboratorio che si chiama Laboratorio di sistemi autonomi, il cui scopo è quello di sviluppare tecniche dell’intelligenza artificiale per rendere i robot in grado di compiere decisioni in maniera autonoma. Quindi mi occupo sia di robot terrestri come auto senza conducente che di robot aerospaziali, come ad esempio sistemi robotici per l’esplorazione del sistema solare”.

La stagione eroica dell’Etna Valley

A Pavone chiediamo di approfondire i suoi anni in Sicilia. A Catania. Una stagione eroica, segnata dalla collaborazione tra l’Ateneo e la St Microelectronics. ”C’era un grande movimento che continua tuttora – ricorda Pavone – perché quella l’Università di Catania era supportata. C’era un ecosistema ampio c’erano, all’interno del quale operano  varie aziende, da piccole a grandi, che creavano appunto un ecosistema”.

Per Pavone, quell’esempio è una regola aurea: perché per la ricerca scientifica e l’innovazione “c’è bisogno di investimenti, c’è bisogno di università e di un ecosistema più ampio. Questo serve a  supportare la creazione di start up e poi trattenere talenti o attirare talenti da altre parti del mondo”.  

Un pezzo di Sicilia a Pavone è rimasto nel cuore. “Arancino o arancina? Per me è sempre arancino, come si dice a Catania”.