Il Paese che scorre sotto le dita: viaggio nell’Italia digitale del 2025

In Italia c’è un luogo in cui milioni di persone trascorrono una parte sempre più ampia delle proprie giornate. Non è una piazza, né una grande città, né un centro commerciale. È uno spazio senza confini, fatto di schermi luminosi e pagine che scorrono con un dito: il mondo digitale. La più recente fotografia dei consumi mediatici degli italiani elaborata dal Censis racconta proprio questo: un Paese che ha ormai varcato la soglia dell’online senza più voltarsi indietro. Nove persone su dieci navigano su internet, quasi tutte hanno uno smartphone in tasca, e la maggioranza vive immersa nei social network come fossero quartieri familiari. Instagram, YouTube, TikTok: i tre poli di un nuovo immaginario collettivo, dove vite, immagini e storie si inseguono in un flusso continuo.

Eppure, mentre i nuovi media avanzano inarrestabili, dall’altra parte dello scenario compare un’immagine inattesa: la televisione, solida e impassibile, continua a regnare. Con il suo 94,1% di utenti, resta la finestra più frequentata sulle cose del mondo. Subito accanto sopravvive la radio, ancora ascoltata da oltre tre quarti degli italiani. È la carta, invece, a pagare il prezzo più alto di questa transizione. I quotidiani in edicola toccano il minimo storico: appena un quinto della popolazione li sfoglia ancora. Una caduta lunga quasi vent’anni, che sembra raccontare non solo un cambiamento tecnologico, ma anche un diverso modo di pensare il tempo, la lentezza, la profondità.

Il tempo che evapora negli schermi

Il tempo, appunto. È lui il grande protagonista silenzioso della vita digitale. Quasi la metà degli italiani tra i 16 e i 64 anni passa più di quattro ore al giorno sui dispositivi digitali per motivi che non hanno nulla a che fare con il lavoro. Tra gli adolescenti, questa soglia diventa la norma: due su tre trascorrono giornate in cui lo smartphone non è solo un oggetto, ma una sorta di estensione del corpo. E non sono pochi coloro che superano le sette, otto, nove ore al giorno di esposizione agli schermi. Significa che una parte consistente della popolazione adulta vive metà del proprio tempo di veglia nel mondo digitale. E questo non passa inosservato. Il 77,6% degli italiani è convinto che le tecnologie siano progettate per catturare l’attenzione, per tenerci inchiodati davanti allo schermo. Non sorprende quindi che molti comincino a sentirsi imprigionati in una spirale di abitudini difficili da spezzare: il 63% si percepisce dipendente, e il 65,6% sente il bisogno di disconnettersi, come si avverte il bisogno d’aria in una stanza troppo chiusa.

Il volto ingannevole del digitale

In un mondo dove l’informazione corre veloce, la fiducia fatica a tenere il passo. I deepfake, quei contenuti digitali che imitano la realtà con perfezione inquietante, ne sono la prova.

Più della metà degli italiani dichiara di averne incontrato almeno uno. Non più solo un gioco tecnologico: oggi i deepfake possono far dire a qualcuno ciò che non ha mai detto, far vedere ciò che non è mai accaduto. E così la percezione cambia: il 44,9% degli italiani si fida meno dei contenuti online, mentre molti iniziano persino a temere che le proprie immagini, condivise con leggerezza sui social, possano essere trasformate in qualcos’altro. La linea di confine tra vero e falso si assottiglia, e lo spettatore digitale procede con cautela, chiedendosi ogni volta se ciò che guarda sia reale o solo una sua immagine ben costruita.

Influenze che si sgonfiano, autenticità che cresce

In questo scenario, persino i protagonisti più riconoscibili del mondo digitale, i macro-influencer, sembrano perdere parte del loro splendore. La maggioranza degli italiani non li ha mai seguiti o ha smesso di farlo. Tra i giovani, molti li guardano con meno entusiasmo rispetto al passato, preferendo invece le voci più piccole e più dirette dei micro-influencer, percepiti come più autentici, meno costruiti. Il pubblico cambia esigenza: non vuole più solo essere spettatore, vuole sentirsi parte di una relazione. Da qui nasce la ricerca di contenuti più immediati, personali, imperfetti. Non più divi inarrivabili, ma compagni di viaggio digitali.

Il telegiornale resiste, ma l’informazione ha preso nuove strade

Nonostante tutto, quando si tratta di informarsi, gli italiani non abbandonano del tutto le vecchie abitudini: il telegiornale rimane la fonte più utilizzata. Ma subito dopo, quasi senza soluzione di continuità, arrivano i luoghi più impensati di un tempo: Facebook, i motori di ricerca, YouTube, TikTok. Tra i giovani, la distanza dal telegiornale è ormai un solco profondo: in soli tre anni l’uso dei tg è sceso dal 42,3% al 22,5%. E mentre la televisione perde presa su questa generazione, le piattaforme digitali diventano il loro punto di riferimento quotidiano.

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