Spinout universitari, l’Italia accelera: quasi 1 miliardo raccolto dal 2020
Strategia S3 - 17/12/2025
di Gabriele Amadore
L’Italia degli spinout – le start up nate da progetti accademici – resta un ecosistema emergente. Però i numeri del medio periodo raccontano un cambio di passo. Dal 2020, secondo Dealroom, sono stati censiti oltre 230 spinout universitari di tecnologie innovative e scienze della vita, finanziati e supportati da venture capital. In cinque anni hanno raccolto quasi un miliardo di dollari (948 milioni). E un dato spicca sugli altri: oltre un quarto, 250 milioni, è arrivato nel 2025.
La traiettoria si vede meglio guardando indietro. Nel 2017 l’intero comparto raccoglieva circa 30 milioni di dollari. Oggi la raccolta è salita a 360 milioni, con una moltiplicazione di 8 volte nel decennio. Intanto il valore dell’ecosistema viene stimato in circa 5,2 miliardi, con oltre il 75% dei capitali raccolti nel 2024. È un’accelerazione netta, anche se ancora concentrata e disomogenea.
Il contesto europeo: un’industria che vale 399 miliardi
Il quadro Italiano si inserisce in un’Europa in piena effervescenza, lo European Spinout Report 2025 stima che le startup deep tech e life sciences nate come spinout dalle università europee valgano complessivamente 399 miliardi di dollari. In questa geografia della creazione di valore guidano Regno Unito, Svizzera, Francia e Germania. Belgio, Paesi Bassi e Paesi Nordici hanno generato valori significativi. E nella top five delle università “fabbriche di valore” non compare nessun ateneo italiano: Cambridge, Oxford, ETH Zurigo, École Polytechnique Fédérale de Lausanne e University College London (UCL).
I numeri continentali aiutano a capire la competizione. Con oltre 7.300 startup e più di 167.000 posti di lavoro creati, le spinout europee deep tech e life science nel 2025 hanno già raccolto 7,9 miliardi di dollari di capitale di rischio. La stima è una chiusura d’anno a 9,1 miliardi di euro, in crescita rispetto agli 8,9 miliardi del 2024. È un segnale chiaro: rispetto al 2019 la raccolta è più che raddoppiata e i progetti nati da università e centri di ricerca pesano ormai per il 40% delle nuove start up deep tech e life science lanciate dal 2019 in poi.
Ricerca e impresa, trattenere l’innovazione è la partita decisiva
Nel report la direzione è indicata senza giri di parole. «L’ecosistema scientifico europeo rimane uno dei nostri asset strategici più sottovalutati», osserva Massimiliano Granieri, professore ordinario di Diritto Privato Comparato all’Università di Brescia e presidente di MITO Technology. L’opportunità oggi è «trasformare questa eccellenza in scala industriale e competitività globale, assicurando che l’Europa riesca a commercializzare le proprie innovazioni in casa, invece di esportare idee all’estero – continua Granieri -». Parole che spostano l’attenzione dal solo numero di start up alla capacità di costruire filiere, mercati e imprese mature.
I benchmark europei spiegano perché l’ecosistema italiano resti “emergente”. La Francia conta oltre 830 spinout e 7,5 miliardi di dollari raccolti dal 2020 (più di 1 miliardo nel solo 2025), con 42 miliardi di valore aggregato. La Germania supera i 570 spinout, 9,3 miliardi di dollari di funding dal 2020 e 125,6 miliardi di enterprise value. E c’è un’altra fotografia utile: la Spagna, che qualche anno fa era più vicina all’Italia, è salita a 360 spinout, 1,5 miliardi raccolti dal 2020 e 10,5 miliardi di valore complessivo, con oltre 500 milioni raccolti nel 2025. In termini assoluti l’Italia parte da una base più piccola. Ma mostra tassi di crescita superiori.
Life science e tecnologie per la decarbonizzazione
Il punto, per l’Italia, è far diventare strutturale l’accelerazione registrata. Nel testo vengono citate alcune iniziative istituzionali: risorse di CDP Venture Capital, la piattaforma Knowledgeshare di Netval, i bandi Smart & Start Italia di Invitalia, fino alle misure UTT e Proof of Concept del MIMIT. Nel loro insieme delineano una filiera che prova a colmare il vuoto tipico di molte innovazioni universitarie: l’attraversamento del “ponte” tra laboratorio e mercato.
C’è un tratto distintivo che emerge dai dati: la specializzazione molto verticale sulle life science, con medtech e biotecnologie in particolare. E un deeptech in accelerazione, soprattutto nelle tecnologie per la decarbonizzazione e nell’intersezione fra ricerca industriale e manifattura avanzata. È qui che l’Italia sembra costruire un vantaggio comparato: meno quantità, più specializzazione. Resta aperta la questione decisiva: trasformare questa intensità scientifica in crescita dimensionale, capitali pazienti e mercati globali.