Manca innovazione nella comunicazione stellata?
UNAnews - 24/10/2025
di Serena Fasano
Serena Fasano è Partner & Client Director Instant Love srl, associata UNA
La domanda è volutamente provocatoria. La ristorazione d’eccellenza è da sempre il luogo della sperimentazione: in cucina si osa, si inventa, si rompe la tradizione per crearne una nuova, ma quando si passa dalla cucina alla comunicazione, la stessa audacia sembra spesso scomparire.
Viene spontaneo chiedersi: la ristorazione stellata è creativa solo nel piatto o anche nel modo in cui si racconta?
Scorrendo i profili social di molti ristoranti stellati, si nota un paradosso: la ricerca maniacale dell’unicità in sala si traduce spesso in una comunicazione sorprendentemente uniforme, a partire dalle foto che narrano i locali: ci sono ovviamente delle eccezioni, come per l’Osteria Francescana (che però è parte di un universo), ma la sensazione generale va in questa direzione.
Piatti sospesi su fondi neri, luci soffuse, texture naturali, parole chiave come “territorio”, “sostenibilità”, “esperienza sensoriale”. Tutto impeccabile, ma tutto un po’ uguale, tanto che a volte diventa difficile distinguere i locali tra di loro. Il rischio è quello di un linguaggio standardizzato, che trasforma l’eccellenza in formato, l’identità in stile, e la personalità in moodboard.
Quindi, in un settore dove ogni gesto e ogni sapore devono raccontare una storia irripetibile, la vera innovazione non è più “cosa” si comunica, ma “come” lo si fa.
C’è poi un’altra dinamica da analizzare: la centralità dello chef.
Negli ultimi vent’anni, da Ferran Adrià a Massimo Bottura, da René Redzepi a Mauro Colagreco, la figura del cuoco è diventata il volto e la voce di un’intera impresa culturale. È un simbolo di visione, di leadership, di creatività.
Ma cosa accade quando il carisma dello chef oscura il ristorante stesso?
Quando il nome del locale diventa un’estensione della persona, e non viceversa?
La comunicazione stellata rischia di trasformarsi in un personal brand monolitico, dove l’esperienza collettiva — la sala, il servizio, la ricerca del team, l’architettura, l’atmosfera — scompare dietro la figura di chi firma i piatti. L’innovazione allora, in questo caso, non sta nel moltiplicare la visibilità, ma nel ridistribuirla.
Come?
Forse, la risposta non sta nel rompere le regole, ma nel ritrovare una coerenza autentica tra esperienza e racconto, che poi è una regola di comunicazione che dovrebbe sempre essere rispettata.
La comunicazione più innovativa, oggi, è quella che non cerca di stupire a ogni costo, ma che riesce a trasmettere la stessa emozione — e la stessa verità — in ogni punto di contatto: sul sito, sui social, in sala, nella carta dei vini, nelle parole dello staff e dello chef.
L’eccellenza diventa quindi un linguaggio coerente e continuo: un ecosistema di sensazioni e significati. Come avviene per Spazio di Niko Romito: il suo racconto è l’opposto del rumore, è silenzio, essenzialità quasi monastica, purezza e rigore, che si ritrova nel sito, sui canali digitali, ma anche nell’esperienza che si vive nel locale.
Oppure per l’Osteria Francescana di Massimo Bottura dove la comunicazione diventa anche strumento di attivismo.
Con Food for Soul, i suoi progetti contro lo spreco alimentare raccontano valori, non solo piatti. Il brand si espande dalla ristorazione alla cultura, e la comunicazione si fa sociale, collettiva, umana. O ancora l’Atelier Moessmer di Norbert Niederkofler, dove l’innovazione è nel racconto del territorio. L’intero sistema comunicativo — dai social alle collaborazioni — è costruito attorno al concetto di “Cook the Mountain”: sostenibilità, filiera corta, montagna come ecosistema. Una narrazione coerente e identitaria che trasforma il luogo in linguaggio. Quindi la vera innovazione non è nell’immagine che si costruisce, ma nel senso che si comunica: la coerenza diventa il nuovo lusso, la trasparenza la nuova eleganza, l’autenticità la nuova forma di eccellenza.