Simona Ferrari e la forza della community, tra connessioni, pratiche e trasformazione
Premio Innovazione Sicilia - 05/12/2025
di Luisa Cassarà
Quando si parla di community, spesso ci si immagina un gruppo compatto o un spazio in cui le persone si riconoscono e si sostengono. Ma è davvero così semplice? La verità è che una sola parola definisce un universo: reti di relazioni offline, piattaforme digitali che cambiano le dinamiche di appartenenza, comunità che non vivono il luogo, ma il flusso continuo di connessioni.
Forse il punto non è definire cosa sia una community, ma comprendere come possa cambiare ogni volta che proviamo a definirla e, soprattutto, a viverla, sia essa online o offline.
Lo Spotlight di Simona Ferrari al Premio Innovazione Sicilia 2025 ci offre una bussola molto efficace per orientarci all’interno di questo “spazio”, la community, che assume un valore fondamentale quando si parla di educare, costruire e connettere. Ferrari, pedagogista, è anche coordinatrice del Cremit, il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia – Università Cattolica di Milano.
Quando l’apprendimento è trasformativo, spiega, è un fattore sociale: questo significa che non si fa un lavoro di apprendimento a partire da un bisogno individuale, ma quando capiamo che il bisogno individuale è connesso alla società.
Il termine community torna moltissimo nel digitale: ma perché il digitale è community? Oggi, per come è costruito, il digitale è potenzialmente una tecnologia di comunità. Se lo guardiamo dal punto di vista della struttura, consente di riconnettere le comunità.
Il Cremit ha potuto sperimentare questo valore attraverso diversi progetti: “Crediamo fortemente che il digitale possa essere utilizzato per riconnettere la comunità”, sottolinea Simona Ferrari. Affinché questo avvenga, precisa, sono necessarie due condizioni: la prima è che ci sia design partecipativo, cioè si partecipa come comunità per trovare una soluzione, all’interno di un’idea del “cosa facciamo”. Il problema ha la soluzione al suo interno. La seconda condizione è che ci sia qualcuno che si assume la responsabilità, un tutor di comunità.
Questo è alla base di qualsiasi comunità di riferimento. Andando nel dettaglio, Ferrari si sofferma sul ruolo e sull’importanza della “comunità di pratiche“, che mette al centro il tema di generare collaborazione per produrre qualcosa. Il valore dello scambio delle pratiche professionali genera innovazione e sviluppo. In questo senso, la comunità di pratiche vuole fare la differenza e condividerla, in un loop che dà vita a qualcosa di trasformativo.
Alla base ci sono individui mutuamente impegnati, che sostengono una grande sfida: solo grandi sfide, infatti, portano a essere “engaged”, ad attivarsi. Ci si impegna per fare la differenza e concentrare la propria attenzione.
L’intervento di Simona Ferrari apre le porte di un mondo vasto, sfaccettato, appassionante. Ci fa comprendere come dietro una parola, “community”, si muova una realtà molto complessa: ci sono comunità territoriali che definiscono identità e bisogni, e ci sono quelle digitali che superano geografie e distanze, ricostruendo il senso di appartenenza attraverso scelte condivise. Comprendere questa pluralità è il primo passo per capire perché la community sia oggi un valore, non uno slogan.
Questo contenuto è stato scritto da un utente della Community. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore.