“All’Innovazione serve la finanza, ma le infrastrutture essenziali non vanno affidate ai privati”

La ricerca scientifica e l’innovazione hanno sempre bisogno di risorse, a maggior ragione oggi che stiamo attraversando la quarta rivoluzione industriale.  Ma è giusto porsi delle domande. L’eccessiva finanziarizzazione del mondo della ricerca scientifica che tipo di implicazioni comporta? Chi investe ha il diritto di orientare la ricerca? Abbiamo chiesto a Marco Pavone, professore associato alla Stanford University, di aiutarci a sciogliere questi aspetti così delicati del rapporto tra innovazione, ricerca scientifica e mondo delle imprese e della finanza.

Innovazione e finanza, chi decide dove andare?

“E’ un punto molto interessante: fino a qualche anno fa la ricerca più di base era appannaggio sostanzialmente delle università e tipicamente era finanziata prevalentemente – almeno negli Stati Uniti –  da agenzie federali come la National Science Foundation, che è sostanzialmente l’omologo del CNR in Italia. Negli ultimi anni grandi aziende come ad esempio Google oppure Nvidia, dove lavoro, hanno cominciato a investire pesantemente in ricerca di base. Questo ha cambiato di molto le dinamiche. Nel senso che la ricerca di base in questo momento almeno nel campo tecnologico è spinta moltissimo aziende. Questo può creare due storture”.

“Concentrare i talenti potrebbe rallentare l’innovazione”

Il problema fondamentale è la concentrazione dei talenti. Chi può permettersi sostanziosi investimenti riesce ad attrarre i migliori cervelli. Questa, secondo le riflessioni di Pavone, sarebbe la prima “stortura”, un meccanismo che potrebbe causare “ la riduzione della possibilità di creare idee nuove, nel senso che sicuramente queste aziende possono attrarre talenti eccellenti ma spesso ottime idee nascono un pò casualmente e quindi focalizzare tutta la ricerca in soli sette ambienti, quelli delle più grandi sette aziende del settore, potrebbe in realtà ridurre paradossalmente il progresso tecnologico”.

“Privati non abbiano il controllo delle infrastrutture essenziali”

Pavone indica anche un aspetto etico: “dall’altro canto c’è il pericolo che queste sette aziende possano effettivamente raggiungere una rilevanza pubblica. Sta già accadendo: ad esempio, le aziende che controllano i sistemi satellitari possono avere dati di intelligence e sono diventate ormai parte delle infrastrutture più essenziali della nostra società. Ecco questo penso che sia un trend potenzialmente pericoloso e probabilmente c’è bisogno di un po’  di regolamenti. Bisogna  evitare che si  lasci a un privato il controllo completo di infrastrutture essenziali”.

Una situazione di questo tipo, secondo il docente “potrebbe creare diminuzione di competitività,  aumentare i costi e diminuire la robustezza del sistema”.

Pavone, infine, sottolinea come il mondo dell’informazione abbia oggi una dimensione sovranazionale: “è così in due sensi diversi. In primo luogo, da un punto di vista delle persone coinvolte è chiaramente un ambiente molto internazionale.Quindi c’è uno spostamento di talenti. Di tutte le nazionalità però sono ben altra cosa e questo diciamo si sa. L’altra cosa però importante da sottolineare questa è una cosa abbastanza recentee. Fino a pochi anni fa la Silicon Valley e quindi l’area intorno a San Francisco era quella dominante nel generare nuove idee nel campo tecnologico. nell’ultimo paio di anni, secondo me, la situazione si è così democratizzata, nel senso che chiaramente la Silicon Valley è ancora una presenza molto forte, ma ci sono molte altre aree del mondo che stanno spingendo in maniera preponderante. Anche in Europa. Ad esempio, la Francia ha varie start up che sono nate nel campo di intelligenza artificiale nell’ultimo anno e stanno avendo moltissimo successo. Ma lo stesso discorso vale per l’area di Zurigo oppure per  la Cina.   

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