Open Innovation, in Italia l’asset strategico vale 696 milioni: la prima mappa del business

Open Innovation (OI), tutti ne parlano – e c’è un perché. Questo paradigma è sempre più adottato per accelerare e rendere più efficiente e agile l’innovazione nelle imprese, sulla base di un concetto semplice e fondamentale: l’apertura alle collaborazioni con attori esterni. La sua diffusione ha portato allo sviluppo di una pluralità di attori, i “service provider“, in grado di offrire servizi a supporto della realizzazione di progetti. Sono nati, per questo motivo, molteplici player, in grado di offrire servizi diversi: questa eterogeneità non è facile da comprendere, soprattutto nel momento in cui si deve stabilire con quali partner collaborare.

Per comprendere meglio questo ecosistema, può essere utile conoscere i dati della prima grande mappatura dei protagonisti attivi nel mercato dell’OI in Italia, realizzata dall’Osservatorio Open Innovation Lookout della School of Management del Politecnico di Milano: analisi, interviste, workshop e altri eventi hanno coinvolto esperti del settore, ricercatori, manager, imprenditori e l’intero mercato italiano, attraverso l’invio di un sondaggio nazionale.

Un mercato da quasi 700 milioni di euro

È emerso che il mercato dei servizi di OI in Italia vale 696 milioni di euro. Le 5 categorie di service provider che ne generano la quasi totalità (85%) sono: corporate innovation hub, società di consulenza, uffici di trasferimento tecnologico, centri di competenza e società professionali per la proprietà intellettuale. L’analisi di scenario e di mercato ha individuato 25 categorie di operatori in grado di supportare concretamente le aziende (dagli aspetti finanziati a quelli organizzativi). Quella di 695 milioni è una stima conservativa, poiché quantifica solo l’attività delle 15 categorie di operatori su cui sono disponibili dati di dettaglio, rispetto alle 25 individuate dall’Osservatorio.

L’indagine capillare si è basata su 905 organizzazioni mappate e ulteriori 153 risposte a survey e interviste di approfondimento, per un campione di quasi 400 soggetti, che permette di fotografare per la prima volta il fenomeno con valenza scientifica.

Cosa dicono i dati?

Anche in Italia, dunque, crescono le applicazioni dell’Open Innovation, secondo cui le imprese, per creare valore e competere meglio, possono ricorrere a idee, strumenti e competenze esterne anziché limitarsi a risorse interne. Questo approccio, ormai, coinvolge sia il settore pubblico, sia quello privato: grandi aziende che, sempre più spesso, si appoggiano a partner esterni per abilitare le proprie attività di innovazione. Il tutto in un contesto che genera servizi avanzati, in un mercato strutturato e professionalizzato.

Dalle interviste è emerso che molte aziende hanno trovato complesso ottenere benefici tangibili, quindi la ricerca si è focalizzata anche sull’esplorazione delle sfide legate all’implementazione dell’OI, identificando i fattori chiave per il successo: gestione della proprietà intellettuale, cultura organizzativa, disponibilità di risorse e influenza dei sistemi d’innovazione regionali e nazionali.

È, dunque, fondamentale supportare le imprese nell’adattarsi a un ecosistema che cambia e si evolve, definendone le dinamiche e promuovendo la collaborazione. Anche in questo caso, dunque, il concetto di ecosistema è fondamentale, in un’ottica di transizione verso un modello di innovazione aperto.

Corporate venturing e nuovi modelli

Nel report c’è anche spazio per approfondire il corporate venturing, cioè l’azione imprenditoriale di aziende consolidate che investono in nuove iniziative o fondano imprese in settori, mercati o industrie già esistenti o emergenti, così da poter fruire di startup “su misura”, in base alle proprie necessità.

Venture capital e corporate venture clienting si sono dimostrati validi, ma stanno emergendo anche modelli di interazione più agili, come il corporate venture building e lo startup studio, differenti dai modelli precedenti per il fatto che la nuova impresa creata è indipendente dall’azienda madre e dai suoi piani di sviluppo, ma coglie le opportunità date dai nuovi mercati e dalle tecnologie emergenti.

Questo approccio consente di innovare con rapidità, sfruttando le sinergie con l’azienda madre ma mantenendo l’autonomia e la flessibilità necessarie ad adattarsi alle dinamiche di mercato. Spiccano quattro modelli di Venture Building (Corporate Venture Builder, Venture Builder con approccio consulenziale, Venture Builder con approccio imprenditoriale, Startup Studio) che definiscono una nuova era della creazione d’impresa.

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