Diritto degli animali, diritto dei cavalli: l’Europa alla prova dell’innovazione digitale
News - 25/07/2025
di Carlo Amenta e Sebastiano Bavetta
Ottanta anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’attuazione dei felici esperimenti costituenti di ricostruzione della democrazia e dei diritti costituzionali, l’Europa aspira a vivere una nuova era costituente. Con una enorme differenza, però: mentre allora l’opera dei costituenti era diretta a limitare il potere dei governi e ad impedire il radicarsi di nuove autocrazie, oggi lo sforzo è diretto a proteggere i diritti dei cittadini dall’espansione delle piattaforme digitali, cioè dall’espansione di attori privati.
Diritti costituzionali dei cavalli
Come dice Oreste Pollicino, professore di diritto costituzionale all’Università Bocconi di Milano, in occasione dell’ultima, brillante puntata di ‘Connessioni Digitali’ – il format di discussione delle idee su innovazione e imprenditorialità di Innovation Island – c’è un diritto degli animali e un diritto dei cavalli. Il ‘diritto degli animali’ è l’applicazione di norme giuridiche esistenti a fenomeni nuovi – in questo caso, le tecnologie digitali o l’intelligenza artificiale – senza cambiare i paradigmi normativi. Un esempio di ‘diritto degli animali’ è l’articolo 21 della Costituzione italiana che tutela il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, cioè una norma generale che tutela la libertà di espressione anche nei contesti non previsti dai costituenti – come i social media – senza che sia necessario scrivere una legge ‘per i cavalli digitali’.
Il ‘diritto dei cavalli’, invece, è la disciplina creata ad hoc per regolare in modo dettagliato uno specifico ambito. Per esempio, l’AI Act vieta l’uso dei sistemi di riconoscimento biometrico in tempo reale negli spazi pubblici. Il divieto non deriva da principi generali del diritto, né da regolamenti sulla privacy già esistenti, ma è progettata per un rischio tecnologico nuovo, proprio come si fa con il ‘diritto dei cavalli’.
Il ‘diritto degli animali’, quindi, consiste in un approccio generalista che evita la proliferazione normativa, preserva la prevedibilità, ma rischia di lasciare scoperti aspetti peculiari della digitalizzazione. Il ‘diritto dei cavalli’ invece è specializzato, tagliato sartorialmente sulla complessità dell’ambiente tecnologico e richiede cura per evitare eccessi paternalistici.
Secondo Pollicino, per fare fronte a determinate sfide digitali – come l’IA generativa o il profiling indiscriminato – servono strumenti normativi dedicati, capaci di presidiare libertà e diritti fondamentali, da una parte, e dignità, dall’altra, anche quando le norme generali sono inadeguate. E, soprattutto, serve dare dignità costituzionale a questi strumenti normativi. Infatti, essi proteggono libertà e diritti fondamentali che discendono direttamente da valori fondanti della società europea contemporanea, soprattutto la dignità. Il ‘diritto dei cavalli’, se ci è permesso estendere la metafora utilizzata da Pollicino, diventa quindi parte del diritto costituzionale e forma l’ondata costituente che l’Europa vorrebbe vivere.
Il rischio
Il rischio più grande – noi riteniamo la certezza – è che la ‘costituzionalizzazione del diritto privato’ spingerà il Vecchio Continente al margine del processo di innovazione tecnologica, per diverse ragioni. Anzitutto, l’applicazione dei principi costituzionali ai rapporti tra privati rischia di creare un ambiente normativo eccessivamente esigente. Le imprese digitali operanti in Europa devono confrontarsi con regole complesse su trasparenza, non discriminazione, e dignità, applicabili anche a decisioni private come la moderazione dei contenuti o la personalizzazione dei servizi. Questo aumenta i costi di conformità e le incertezze legali, rallentando l’innovazione.
In secondo luogo, questa evoluzione genera un overhead costituzionale, cioè un peso regolatorio che si scontra con i cicli rapidi e sperimentali tipici dello sviluppo tecnologico. L’obbligo di spiegare ogni scelta algoritmica o di garantire il contraddittorio in tempo reale può paralizzare l’agilità delle imprese, penalizzando soprattutto le PMI e le startup.
Infine, c’è il rischio di un esodo tecnologico: le grandi piattaforme potrebbero limitare la loro presenza in Europa o proporre versioni ridotte dei servizi; le nuove imprese, invece, potrebbero cercare ecosistemi normativi più leggeri altrove. Così l’Europa, pur avanzata sul piano dei diritti, rischia di restare ai margini del processo creativo globale, diventando regolatrice ma non protagonista.
Dignità vs libertà d’impresa
Il contrasto tra la protezione della dignità personale che si vuole favorire con la costituzionalizzazione del diritto privato e l’accelerazione dell’innovazione e della crescita che si vogliono favorire con la libertà d’impresa in un mondo poco regolamentato è ormai parte del dibattito, come dimostra anche il recente rapporto Draghi voluto dalla Commissione Europea. In realtà, i termini della scelta sono più complessi perché dignità e libertà d’impresa non sono indipendenti l’una dall’altra.
Di conseguenza, scegliendo un livello di protezione della dignità si sceglie anche un livello di libertà d’impresa e quindi quali opportunità di prosperità garantiremo ai giovani europei.
Una raffigurazione del diritto costituzionale
Colpevoli di un’estrema semplificazione, usiamo un’immagine per descrivere il modo in cui – ci sembra – Oreste Pollicino veda il rapporto tra costituzionalizzazione del diritto privato e libertà d’impresa nella conversazione di ‘Connessioni Digitali’.
In un ipotetico asse verticale Pollicino descrive il rapporto tra stato e cittadini. La natura giuridica di questo rapporto è l’oggetto del diritto costituzionale. Se lo stato è forte, centralizzato, tendenzialmente invasivo, le sue regole costituzionali comprimono le libertà individuali. Siamo in alto lungo l’asse verticale dell’ipotetico grafico e, ciò che conta, in una società dove non è piacevole vivere e potrebbe non esserci convenienza ad investire poiché il potere dello stato genera incertezza sui rendimenti attesi degli investimenti, penalizzando la crescita.
Scendendo lungo l’asse verticale, la costituzione riduce il potere dello stato sui cittadini attraverso garanzie e bilanciamenti, una magistratura e una stampa indipendenti, la devoluzione di compiti a governi locali con ampi gradi di autonomia, o l’istituzione di agenzie indipendenti e autonome dal potere politico e così via. In basso nell’asse verticale, in altre parole, le regole costituzionali proteggono le libertà individuali.
L’asse verticale è lo spazio tradizionale del diritto costituzionale, lo spazio sul quale i costituenti europei, soprattutto nei paesi sconfitti dalla guerra, si concentrarono per ricostruire un futuro di libertà e prosperità.
L’espansione del processo costituente
Il processo costituente che vorrebbe prendere forma oggi in Europa (e di cui Pollicino parla), invece, si sviluppa lungo un’asse orizzontale in cui si descrive il rapporto tra piattaforme digitali e cittadini/consumatori. A sinistra la regolamentazione è stringente. Per proteggere la dignità delle persone contro gli abusi o le negligenze delle big tech, lo stato esercita un controllo esteso e capillare sull’operato delle piattaforme digitali, anche contro la volontà dell’individuo di essere protetto.
A destra c’è poca regolamentazione: le piattaforme hanno ampi margini di manovra nel definire regole, criteri di moderazione, gestione dei contenuti, trattamento dei dati, e accesso ai servizi. Ancora, trasparenza, auditing e tutela procedurale sono assenti e, soprattutto, i cittadini hanno limitati strumenti giurisdizionali per contestare le decisioni algoritmiche o editoriali.
L’asse orizzontale è il nuovo spazio dei diritti particolari, sorto perché nel mondo digitale le minacce alla dignità non vengono più solo dallo Stato, ma dai poteri privati algoritmici, che non sono eletti né controllati democraticamente. Per esempio, se Meta cancellasse un contenuto politico senza spiegazione, il cittadino non potrebbe invocare la costituzione perché il soggetto non è “pubblico”. Ma l’effetto sulla libertà di espressione sarebbe identico a quello che produrrebbe un governo che censura.
Dove vogliamo stare?
Nel mondo descritto da Oreste Pollicino la combinazione di un’asse verticale con un’asse orizzontale ci consegna quattro possibilità. La prima (in alto e a sinistra) è uno scenario in cui la tutela della dignità è alta perché la regolamentazione delle piattaforme digitali è estesa, così come l’intervento statale. Il risultato è uno stato forte e centralizzato in cui il cittadino è esposto al potere pubblico senza reali garanzie, così come al paternalismo digitale che può proteggerlo ma soffocarlo. È uno scenario simile al modello cinese, cioè una forma di autoritarismo digitale paternalistico.
La seconda, in basso a sinistra, è uno scenario in cui lo Stato si ritira ma salvaguarda la dignità imponendo rigorose regolamentazioni nel rapporto tra piattaforme digitali e cittadini/consumatori. Ancora una volta prevale un’attitudine paternalistica. Questo è probabilmente lo scenario più simile alle attitudini dell’Europa dei nostri giorni, uno scenario che Oreste Pollicino chiama col nome di ‘costituzionalismo relazionale’. L’obiettivo è tutelare la dignità della persona anche al costo di limitare la libertà d’impresa.
La terza, in alto a destra, è uno scenario in cui le piattaforme operano con ampia autonomia ma in un contesto costituzionale che accentra i poteri dello stato. L’esempio più calzante è Singapore, dove la costituzione garantisce diritti fondamentali ai cittadini, ma subordinati a eccezioni di ordine pubblico, sicurezza, e armonia razziale. D’altra parte, le piattaforme attratte da un sistema fiscale favorevole sono libere di operare secondo i propri criteri e i cittadini sono trattati come soggetti responsabili, capaci di valutare, scegliere, persino di rischiare.
Infine, in basso a destra, lo Stato è poco invasivo e, allo stesso tempo, le piattaforme sono poco regolate. È questo il caso del libertarismo digitale degli Stati Uniti dove le piattaforme godono di ampia autonomia che le protegge da responsabilità per i contenuti pubblicati dagli utenti, dove manca un quadro federale unitario sulla privacy simile al GDPR europeo ed è forte l’enfasi sulla libertà di espressione come diritto quasi assoluto, anche nei contesti digitali.
L’attrattività del modello interpretativo proposto da Oreste Pollicino è fuori di dubbio. Basta schizzare due rette ortogonali per mettere sul piatto i termini essenziali della scelta che ciascun cittadino europeo ha di fronte: il grado di libertà, soprattutto libertà d’impresa, lungo la linea verticale, contro il grado di protezione della dignità personale lungo l’asse orizzontale. D’altra parte, redendo libertà e dignità due valori indipendenti, è difficile sostenere una tesi contraria alla protezione di quest’ultima.
Torniamo al divieto dell’uso di sistemi di riconoscimento biometrico. Nel 2025, l’Ungheria ha introdotto una norma che autorizza l’uso di sistemi di riconoscimento facciale in tempo reale per monitorare manifestazioni pubbliche, incluse proteste LGBTQIA+. L’AI Act europeo ha impedito l’attuazione della misura, vietando tali tecnologie negli spazi pubblici per il rischio inaccettabile che pongono ai diritti fondamentali. Questo divieto, fondato su una logica costituzionale, ha agito come barriera preventiva a una forma di sorveglianza che avrebbe compromesso la dignità, la privacy e la libertà di espressione dei manifestanti. Siamo di fronte a un caso concreto in cui il ‘diritto dei cavalli’ tutela valori che nessuno di noi sarebbe disposto a mettere in discussione, per cui la tesi di Oreste Pollicino appare molto solida.
Dignità e libertà non sono indipendenti
In realtà, il limite dello schema interpretativo che Pollicino propone sta nel fatto che dignità e libertà non sono indipendenti. Trattarle come variabili ortogonali aiuta a visualizzare i dilemmi etici e normativi ma semplifica eccessivamente la realtà. Dignità e libertà si intrecciano, si condizionano, si fondono e si fondano reciprocamente.
Infatti, una società che protegge davvero la dignità deve garantire anche le condizioni per una libertà sostanziale, non solo formale e la libertà stessa diventa una condizione necessaria e un antecedente della dignità. La trasparenza algoritmica, la possibilità di opporsi a una decisione automatica, o di sapere perché un contenuto viene rimosso, sono forme di dignità che rendono più robusta la libertà individuale, perché la rendono informata, consapevole, non manipolata. Allo stesso tempo, una libertà d’impresa priva di vincoli può ledere la dignità altrui, se non è accompagnata da obblighi minimi di responsabilità e da un sistema giuridico in grado di sanzionare gli abusi.
Per questo motivo, l’estensione costituzionale nel mondo digitale non può essere pensata solo come una sottrazione di libertà per guadagnare in dignità, ma piuttosto come la ricerca di una sintesi dinamica. È un processo di co-evoluzione normativa, in cui diritti e innovazione si bilanciano non in astratto, ma nelle soluzioni concrete.
Il punto non è evitare del tutto la costituzionalizzazione del diritto privato, ma evitare che essa assuma la forma di un freno sistemico all’innovazione. Serve un modello flessibile, capace di adattare i principi costituzionali alle caratteristiche dell’ambiente digitale, evitando il formalismo giuridico. In questa prospettiva, l’ideale non è un quadrante rigido – né in basso a sinistra né in basso a destra – ma una zona mobile di equilibrio. Un’area in cui l’innovazione sia incentivata dalla fiducia, favorita, a sua volta, dalla deregolamentazione. Un’area in cui le imprese possano investire sapendo di muoversi in un ambiente di poche regole certe, proporzionate, orientate a valori condivisi.
Se il quadro costituzionale europeo saprà tenere insieme queste esigenze, se saprà combinare diritti forti, regole flessibili e spazio per la sperimentazione, allora potrà diventare non il continente della sorveglianza regolatoria, ma quello dell’innovazione democratica. Un’innovazione che non si fa a scapito dei cittadini, ma insieme a loro. E questo, forse, è il solo tipo di innovazione che abbia davvero futuro.
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